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Tra me e lei il denaro si ergeva come un totem che ci osservava con i suoi grandi occhi duri. Ovunque ci giriamo incrociamo il suo sguardo sempre presente, sempre più opprimente. I suoi occhi si sovrappongono a quelli di lei, nascondendo le gioie passate, il piacere di immergermi nella loro luce, l’arcobaleno di emozioni che mi hanno provocato quando li fissavo e mi invitavano a sognare.
Quando non ne distinguerò più la differenza, forse li vedrò per quello che erano davvero.
A volte penso che lei ne rimarchi la mancanza, per punirmi di non aver capito come sia l’unico mezzo che potrebbe soddisfare appieno la ragione per cui ci svegliamo la mattina. Quella che potrebbe finalmente cambiare lo scialbo tran tran della sua vita, portandola lontano dai luoghi che normalmente le è consentito raggiungere con i nostri limitati mezzi, al di là della volontà.
«Il denaro è davvero necessario come il respiro?» Ricordo che le ho chiesto.
«Come una scala per raggiungere il cielo, la luna, le stelle». Rispose, e dicendo “una scala” anziché “un missile, un razzo”, compresi che quello che più la inquietava non era il tempo necessario, piuttosto la certezza della meta.
Il denaro ha costruito tra di noi un muro che inesorabilmente ha diviso i nostri spazi, i nostri pensieri, gli orizzonti che percepiamo, ma non riesce a nascondere i rumori, gli umori, le insofferenze reciproche.
Forse un giorno riusciremo ad abbattere questo muro, potendo finalmente guardare oltre, per capire cosa manca all’uno che l’altro ha già.
Per ora lei si è limitata a guardarlo cercando all’orizzonte un varco che le permetta di aggirarlo, senza sforzo, senza il timore di finire seppellita sotto le macerie dei colpi vibrati dall’altra parte.
L’attesa è stata lunga e ogni mattina più dolorosa. Il totem ha lentamente occupato la nostra stanza, poi l’intera casa, fino a divenire padrone assoluto di ogni spazio.
Quando caparbiamente riuscii a farmi largo, l’ho cercata, l’ho chiamata e non l’ho più trovata. Dal rimbombo della voce che chiama mi giungeva solo l’eco che sbatteva violento tra le pareti delle stanze vuote, fino a tornarmi indietro ormai muto.